Il giardino delle delizie di MoMò Calascibetta approda al Museo Riso

A Palazzo Belmonte Riso, sede del Museo Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo (Via Vittorio Emanuele, 365), mercoledì 4 agosto 2021, alle 18, si inaugura “Il giardino delle delizie”, mostra personale di MoMò Calascibetta, a cura di Andrea Guastella.

La rassegna, ricca di oltre cinquanta opere, tra dipinti, disegni, sculture e istallazioni, ricostruisce un percorso artistico lungo oltre quarant’anni:  dai lontani esordi palermitani di Momò Calascibetta durante un evento seguito da Leonardo Sciascia, che si innamorò di un suo lavoro fino all’avventura di Cenere, rassegna satirica “in memoria” del sistema dell’arte, ancora in pieno svolgimento.

Pur vivendo a Milano da molti anni, Calascibetta non ha mai abbandonato la Sicilia; è rimasto invischiato nei suoi miti, nei suoi riti, nelle sue espressioni teatrali. Non sorprende perciò che ad essa, e  in particolare alla città di Palermo, egli abbia dedicato la quasi totalità del suo lavoro, a cominciare dai primi “processi”, proseguendo con la serie di Comiso Park, creata negli anni in cui Comiso, piccolo centro in provincia di Ragusa, ospitava una base americana traboccante di ordigni nucleari, per giungere a Terromnia, dove la Sicilia e Milano si fondono, e alla Fontana della Vergogna, altro pannello ispirato alla principale piazza cittadina.

Seguono i dipinti “cubani” in cui le periferie dei paesi più poveri confluiscono a Danisinni alla Kalsa o a Ballarò; le carte e i dipinti mitologici che tanto piacquero a Vincenzo Consolo, così vicini ai rilievi e ai decori conservati nel Museo Salinas; Cenere, nelle sue versioni siciliana, italiana e mondiale. Infine, Il giardino delle delizie.

Quest’ultima opera, ambientata nel cuore di Palermo come la Vucciria di Guttuso, ma con un impianto allegorico che ricorda piuttosto il Trionfo della morte e i trittici di Bosch, è un monumentale trittico pittorico realizzato appositamente per la mostra durante l’anno appena trascorso.

Come ha dichiarato lo stesso artista, è possibile riconoscere nell’opera “una macchina della memoria che è la somma e la stratificazione di oltre quarant’anni di lavoro”. “In questo mio particolarissimo giardino – evidenzia Momò Calascibetta – le varietà arboree sono state sostituite dai fantasmi degli individui che mi hanno accompagnato; individui che non hanno mai prodotto frutti, che sono tronchi anemici e bisognosi di fertilizzanti, arbusti aridi e avvizziti nella calura estiva dei Quattro Canti di Palermo; un tripudio umano, uno spettacolo teatrale dove gli attori non devono più fingere un personaggio né seguire un copione, ma limitarsi ad essere se stessi, come ne La classe morta di Tadeusz Kantor. Oggi, ieri, domani; l’alba, il giorno e la notte; passato, presente e futuro; paradiso, purgatorio e inferno convivono nell’opera, sforzandosi di condensare in un istante la vacuità di un’esistenza passeggera”.

 “Vi sono opere d’arte”, dice il curatore, Andrea Guastella, “che per il loro messaggio, i sensi riposti, le suggestioni evocate assumono valenza universale. Il Giardino delle delizie di Momò Calascibetta è una di queste. Da tempo non si incontrava un dipinto di tali ambizioni: che cosa più del giardino piantato da Dio in Eden simboleggia infatti, per la nostra cultura, il paradigma di ogni bellezza e perfezione? E tuttavia esso è, sin dal principio, ‘giardino chiuso, fonte sigillata’: l’unico angolo di mondo da cui l’uomo, caduto, viene esiliato con decreto irrevocabile.

Sviluppando tale archetipo in chiave di memoria, Momò torna a Palermo, la città in cui è nato, lasciata anni addietro per Milano, ritrovandovi i luoghi e i volti soliti della sua (e altrui) pittura, in una fantasia a occhi aperti dove i rimandi al presente, al significato della creazione artistica e a episodi ‘privati’ si aggrovigliano in nodi quasi inestricabili. Un viaggio ai confini della notte che, come se non bastasse, è rischiarato dalle fiamme della satira, accese da un ardente desiderio di riscatto. Di fronte a una narrazione tanto complessa e tormentata, anziché scrutare a debita distanza, ho preferito procedere in compagnia dell’autore. Ma nella consapevolezza ferma che anche il primo itinerario andrà tentato: col predisporre, per cominciare, la storia di un’esperienza lunga quasi mezzo secolo; un’avventura che, pur al di fuori di scuole o tendenze, non nasconde di allacciarsi alle radici espressionistiche di un Grosz o di un Dix, magari passando per Mantegna, Crivelli, i fiamminghi primitivi. E senza dimenticare l’esempio “civile” di un altro siciliano della diaspora come Bruno Caruso, o la vicinanza – di metodo e di tema – con interpreti acutissimi del caos contemporaneo: William Kentridge, Francesco Vezzoli, David Lachapelle. Questo, però, sarà l’oggetto di un’altra esplorazione. Per adesso l’approccio più sensato è forse quello di chi, come Dario Orphée La Mendola, si addentra nel Giardino alla ricerca di “terribili verità”. Posso assicurarvi, senza tema di smentita, che non se ne pentirà”.

La mostra sarà visitabile fino al  25 settembre 2021, da martedì a sabato, dalle 9 alle 18:30, domenica dalle 9 alle 13. Chiusa il lunedì.

Per l’acquisto dei biglietti on line, ecco il link: https://www.coopculture.it/heritage.cfm?id=311