Momeide, o viaggio dei siciliani per caso con destinazione Ragusa!

Sarà inaugurata sabato 7 maggio 2016, alle ore 18, presso la Civica Raccolta “Carmelo Cappello” di Palazzo Zacco (via San Vito, 158) a Ragusa, “Momeide. Il viaggio per fondare il popolo errante dei ‘siciliani per caso’”, mostra personale di Momò Calascibetta, a cura di Andrea Guastella.

L’esposizione raccoglie una selezione di opere di Momò Calascibetta, «maestro del disegno assai stimato, tra gli altri, da Consolo, Sciascia e Bufalino» che l’Amministrazione Comunale di Ragusa è lieta di ospitare «nelle splendide Sale di Palazzo Zacco, dove alcuni dei suoi lavori più famosi instaurano un dialogo con le sculture e le grafiche di Carmelo Cappello», offrendo ai ragusani e ai tanti turisti che ogni giorno visitano il museo «una testimonianza autentica di impegno civile e di altissimo mestiere».

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Riporto alcuni passi del testo di Andrea Guastella nel catalogo Aura Phoenix Edizioni: 

“Entrambi [Momò Calascibetta e Carmelo Cappello] sono nati in un’isola del Mare della Storia. Entrambi, il pittore delle giostre e l’essere deforme metà uomo metà toro, si ritrovano a vivere lontano – l’uno dal sole di Creta, l’altro da Palermo felicissima, emigrato nelle brume di Milano. Prigionieri di Dedalo, si aggirano in un salone degli specchi che li danna a riconoscere in sé, nel proprio volto, gli orrori che combattono o da cui provano a fuggire. O da cui, come appestati, sono stati allontanati. Così, come le urla del Minotauro facevano crollare le pareti, i trionfi della morte di Momò Calascibetta sono lazzi, improperi, atti di accusa contro una società che ha, tra le sue tante colpe, quella di starsene oziosa, schiava della copula e del circo, del tutto inconsapevole della propria ombra.

[…]

Momò suscita parossismi, incoraggia connubi innaturali tra linee falcate e colori cangianti, occupa angoli morti, svela desideri ardenti e stabilisce, succube e aguzzino come il padre putativo della bestia, il girone d’Inferno cui condannare i figli sazi, inconcludenti del malcostume e della pubblicità. Condanne – intendiamoci – all’apparenza tutt’altro che severe. Loro, i vitelloni intorpiditi dalla crapula e dal vizio, galleggiano grevi, madidi di sudore nell’atmosfera ovattata di un perpetuo show televisivo, tra applausi a comando e risate preregistrate. Si sentono furbi, intoccabili, sicuri. Hanno la tracotanza dell’Ignoto marinaio di Antonello. Eppure, a fissarli troppo, reagiscono scomposti. Fu proprio a causa di uno di questi “nuovi mostri” che Momò dovette affrontare un tentativo di censura. Imputazione: il ritratto beota di un politico, addirittura il primo cittadino del paese dove l’opera era in vista, mescolato tra i volti tronfi di Folla. Il dipinto, assai simile all’Autoritratto con maschere di Ensor, non aveva intenti denigratori: Momò quel tale non lo conosceva affatto.

[…]

Accade, in altre parole, che a furia di specchiarsi Momò ci costringa a specchiarci a nostra volta. E ci faccia venire una gran voglia di distruggere lo specchio. Tale cupio dissolvi, non saprei sino a qual punto volontaria, ha indotto l’artista a tentare un nuovo inizio: ‘in un mondo di arrivisti’, proclama Bufalino, ‘buona regola è non partire’, ma Momò pensa che “non basta sapere aspettare perché tutto arrivi’.”

Ora è, quindi, il tempo di Momeide ma, contrariamente all’Eneide di Virgilio, la sua epopea non procede dal racconto del viaggio, ma da quello della guerra e più precisamente da quello delle rovine della guerra. Riportando ancora il testo di Andrea Guastella, “l’attenzione dell’artista va alle case dilaniate dalle bombe ‘intelligenti’, ai bambini assenti, intenti a raccattare il cibo tra montagne di immondizia o a giocare per strade desolate. E se Enea portava con sé le statuette dei Lari e dei Penati, Momò custodisce nel cuore il ricordo di un’infanzia felice e riparata, di una giovinezza la cui la meta era partire; un ricordo cristallizzato nelle sue case caffelatte: sgombre, prive di presenze, tutto l’opposto dei palchi e delle tribune degli esordi, quasi a gridare sui tetti che la casa è l’unico spazio inviolabile, l’unico tempio, l’unica tana in cui posare il capo. ‘La casa’, afferma, ‘è una geografia della memoria dove il dolore ti abbandona: sono come una tartaruga, ovunque io vada mi porto la casa sulla schiena’. Cosa poi contengano le valigie sparse qua e là per le stanze, verso quali altri porti si diriga la sua nave, quali trame di gioia o sofferenza l’alta Musa dipani tra i sentieri del colore, tutto questo lo ignoriamo. Ci basti sapere che Momea, eroe siciliano figlio di Filippo, fuggito per il Mediterraneo dopo aver constatato il dilagare di un’arte sempre più mummificata da imbalsamatori culturali, è approdato qualche anno fa non nel Lazio come Enea ma in Sicilia nei pressi di Mozia, dove ha fondato il popolo errante dei ‘siciliani per caso’”.

La mostra sarà visitabile fino al 30 giugno 2016, da martedì a venerdì, ore 8-14 e 15-19, mentre sabato dalle 9 alle 13, a Ingresso Gratuito.

Per info: 3383481602, scrivere una’e-mail a [email protected]  o visitare il sito http://www.artmomo.com/