La fotografia come scoperta emozionale: Intervista a Marco Bennici

Si fa presto a dire bianco, c’è quello raffinato e quello dozzinale, ogni sfumatura ha un suo carattere proprio.
(Haruki Murakami)

E di sfumature e contrasti si nutrono a sazietà i racconti per immagini di Marco Bennici, in questi giorni in mostra, con due sue opere, all’interno della collettiva “Rapsodie. Composizione di luce e di colore”, al Centro d’Arte Raffaello di via Notarbartolo 9/e, a Palermo, e on line (cliccate QUI per visitare la mostra virtuale).

Le sue Take my hands-open e Take my hands-closed mi hanno molto colpita per il loro forte impatto emozionale, così la vostra Marga Rina ha deciso di incontrarlo e intervistarlo.

Classe ’76, Marco Bennici è un fotografo, un architetto e un designer. Nei suoi lavori, l’uso ragionato della luce, in contrasto con quello delle ombre, conferisce un particolare effetto di tridimensionalità e di carattere. Un esempio è lo studio della luce nella foto della Cattedrale di Cefalù, selezionata per la mostra UNESCO, ospitata nel Palazzo Sant’Elia di Palermo. Un altro momento significativo della sua carriera è stata la mostra “Rosalia”, nell’estate del 2017, presso gli spazi espositivi dell’aeroporto internazionale Falcone-Borsellino di Palermo, dove la sua foto Libera, ritrae Santa Rosalia in una luce contemporanea. 

Mentre vi invito a visitare il suo sito web per ammirare i suoi scatti, eccovi cosa mi ha raccontato!

M.R. Cosa è la fotografia per Marco Bennici?

Marco Bennici: È un possibile strumento di comunicazione che si espleta tramite un racconto in immagini. Nel mio caso il focus è quasi sempre la natura umana, nelle sue molteplici sfaccettature positive e negative, rappresentata in foto. La fotografia è anche un modo per appagare la mia curiosità e raccontare agli altri le emozioni della scoperta.

M.R. Come recita il detto, “La curiosità salverà il mondo” e, aggiungo io, ci delizierà gli occhi osservando e rimirando gli scatti di Marco Bennici. Per tornare all’incipit, in questi giorni il dittico Take my hands è in mostra all’interno della mostra collettiva “Rapsodie” da e curata.  Cosa ti ha ispirato? E come sono nati questi scatti?

Bennici: Ho conosciuto un bravissimo ballerino di origini brasiliane, Vincenzo Emanuel Carpino, che vive tra Napoli e Palermo. Abbiamo realizzato uno shooting con tema il corpo, la sua potenza e leggerezza, utilizzando sorgenti luminose con ottici molto stretti, a richiamare la luce teatrale. Da buon ballerino, ha dei movimenti delle mani molto aggraziati, che ho sfruttato ed enfatizzato come strumento di comunicazione. Le mani aperte e le mani chiuse comunicano messaggi di facile comprensione, mentre la forma che assumono nello sfondo nero, vuole spingere l’osservatore ad approfondire la lettura, questa volta in maniera personale, come avviene per i test di Rorschach in psicologia.

M.R. Visitando il tuo sito e soffermandomi sulla tua biografia, mi ha colpito la frase  Contrast becomes a balance.  Mi puoi spiegare in che senso?

Bennici: La mia formazione è di architetto. Un’architettura, di per se necessariamente geometrica anche se fatta di curve, deve poter inserirsi in un contesto organico, in modo armonioso o dissonante. L’equilibrio compositivo nasce dal saper dosare il rapporto di questi elementi di contrasto. Questo atteggiamento compositivo lo traslo in fotografia.

M.R. Risposta davvero interessante, soprattutto quando dici che l’equilibrio compositivo nasce dal dosare il rapporto degli elementi di contrasto. Mi fai pensare proprio alle rapsodie, composizioni musicali in cui ogni tasto bianco e tasto nero di una tavolozza pianoforte o, come nel tuo caso, una teca di obiettivi fotografici, dialogano in modo vario ma ben ritmato e dosato.

Ora ti pongo una domanda assai attuale perché il pensiero all’epidemia da Covid 19, la corsa ai vaccini, i dubbi sulla loro efficacia a lungo termine preoccupano un po’ tutti.

Quanto è mutata la tua fotografia in tempo di pandemia? E pare che io abbia pure fatto una rima!

Bennici: Il mio atteggiamento nella vita è istintivamente positivo, e cerco sempre di trovare il bello, la linfa vitale. Durante questi lunghi e luttuosi periodi segnati dal Covid abbiamo cambiato il nostro punto di vista verso gli altri, comunicando maggiormente con lo sguardo. Abbiamo scoperto gli occhi. Ed è stato stimolante. La quarantena ci ha reso (quasi tutti) più poveri ma ha permesso di riposarci e quindi di rigenerarci. Ho scoperto la solitudine ed i posti isolati, e credo che la mia fotografia adesso sia un racconto più profondo ed introspettivo.

M.R. Ultima domanda! Quali sono i tuoi progetti futuri?

Bennici: Il progetto futuro deve essere senza dubbio diverso da quello passato. Percorro due strade parallele. Una legata alla foto fine art, al corpo e all’arte contemporanea. Vorrei che avessero dignità espositiva alcuni miei lavori ispirati a due icone femminili dell’arte contemporanea, Yayoi Kusama e Jenny Holzer. L’altra strada, meno patinata, è legata alla mia passione per il reportage, l’amore fluido, la provocazione come strumento di rottura degli schemi del perbenismo. Ho appena terminato un nuovo progetto su esperienze sensoriali tra sconosciuti, legate alle diverse forme dell’amore carnale, raccontate con linguaggio cinematografico.

M.R. Grazie per la stimolante chiacchierata!