Eppure potrebbe…intervista a Marco Favata

“Il mare incanta, il mare uccide, commuove, spaventa, fa anche ridere, alle volte, sparisce, ogni tanto, si traveste da lago, oppure costruisce tempeste, divora navi, regala ricchezze, non dà risposte, è saggio, è dolce, è potente, è imprevedibile. Ma soprattutto: il mare chiama.”

Alessandro Baricco

Mentre preparavo l’intervista a Marco Favata – in mostra fino al 3 aprile 2021 all’interno della collettiva “Rapsodie. Composizione di luce e colore” al Centro d’Arte Raffaello di via Notarbartolo 9/E a Palermo – mi è parso di sentire lo sciabordio delle onde e, ad occhi chiusi, mi sono immedesimata nel bambino dell’immagine presa dal web, sorte di antesignano professor Bartleboom di Baricchiana memoria, intento a curiosare proprio sotto le onde di “Lampedusa”, per scoprire i segreti creativi di Marco Favata!

Marco Favata, classe ’77, da sempre appassionato cultore delle arti figurative, pur da autodidatta, si affaccia, al mondo della pittura nel 2016, prendendo parte a numerose rassegne in spazi pubblici e privati e partecipando a mostre collettive di livello nazionale ed internazionale.

Dietro ogni sua opera ci sono tante ore d’impegno incessante, di ricerca e di pura passione, frutto di un lunghissimo lavoro e direzionato sia sulla tecnica – caratterizzata da strati di colore misti a schiume di poliuretano espanso e resine sintetiche sulla tela – sia e soprattutto sull’armonia del colore.

Ma, anche se mi ha confessato che ama poco parlare di sé, lasciamo che sia lui a raccontare non sé stesso ma la sua pittura!

Marga Rina: Ciao Marco! Vorrei partire dall’inizio perché ho notato che la tua pittura è molto cambiata negli ultimi anni. Le tue prime opere, infatti, sono frutto di progressioni dissociative dell’immagine, proprio come palesano le opere del ciclo “Tauromachia”. Negli ultimi anni, la figura, sia umana sia animale,  è sparita. È forse il mare che tanto ami ritrarre ad averle celate facendole inabissare? O è forse il mare ad averle come scolorite perché, evocando un altro personaggio di Oceano Mare, dipingi il mare acquarellando quello che resta sotto? Come arrivi a questo cambio così netto (ma solo apparentemente)?

Marco Favata: Le progressioni dissociative non sono altro che un vero e proprio Manifesto che segna, più che il mio cambiamento, la mia libertà. La mia idea nasce progressivamente dal rifiuto dell’omologazione e dall’esigenza di osservare la realtà con occhi diversi. Essendo un artista contemporaneo e vivendo il mio tempo, sento l’esigenza di puntare il mio focus sull’ambiente, tentando di fare emergere, attraverso le mie opere, quel fascino primitivo deturpato dai più.

M.R. Ma non usi l’acqua del mare per dipingere il mare come faceva Plasson! Quali materiali e tecniche prediligi oggi? E Perché?

Favata: Essere un’artista contemporaneo vuol dire avere a che fare con una quotidianità fagocitante di input sempre più frequenti, sempre più istantanei. Tale condizione non poteva che farmi scegliere, per la realizzazione delle mie opere, materiali e tecniche fast. Tra i materiali usati prediligo il poliuretano espanso, il cemento e la colla vinilica, per le proprietà meccaniche istantanee possedute, in quanto soddisfano in tempi brevi l’equilibrio materico della mia ricerca artistica.

Uno scatto della collettiva “Rapsodie” con “Lampedusa” di Marco Favata insieme con le sculture di Dalila Belato e Alberto Criscione

Marga: Come ho scritto poco sopra, fai parte della collettiva “Rapsodie” con l’opera  intitolata “Lampedusa”. L’hai dipinto a Lampedusa? O quanta Lampedusa c’è in esso?

Favata: “Lampedusa” è un’opera di cui vado particolarmente fiero, che reputo la maggiore del ciclo Mediterraneo, perché particolarmente rappresentativa nella sua realizzazione. Lampedusa incarna quest’isola siciliana in tutto e per tutto, non è stata dipinta sul posto, ma impressa nella mente dopo aver osservato i fondali di questa meravigliosa isola, che hanno lasciato in me il segno.

Marga: Osservando quest’opera così materica e così impetuosa come il mare mosso, sai che mi è venuta voglia di toccarla? In futuro, il tuo percorso artistico potrebbe avere una svolta verso il tattilismo? Hai mai pensato a un’arte da fruire non solo con lo sguardo e con le emozioni, ma anche col tatto?

Favata: Non sei l’unica che prova questa sensazione ed onestamente mi fa piacere. Per il futuro, credo che debbano essere gli altri  a collocarmi ed eventualmente inserirmi in una corrente artistica. Preferendo la libertà agli stereotipi, essendo ricettivo agli input esterni, oggi non sono predisposto alle classificazioni o a delle aspettative nei miei confronti. Per quanto riguardo il tatto, posso risponderti che fondamentalmente lo vivo come un’esigenza personale, quello di lavorare su di una superfice ruvida, fatta di croste, corrosioni,  pieni e vuoti. Penso che l’arte sia come la musica, composta da note alte e notte basse che formano la melodia, del resto l’opera fa parte della collettiva “Rapsodie”.

Marga: Mi fa piacere! Effettivamente “Lampedusa” è essa stessa rapsodia come tu, Marco Favata, sei il rapsodo che l’ha composta e suonata egregiamente!

Ultima domanda! Quali sono i tuoi progetti futuri?

Favata: Voglio raccontarti in breve un segreto sul mio percorso artistico: in quest’ultimi anni, ho raggiunto una serie di obiettivi che mi ero prefissato, sostenuti e spinti da un istinto viscerale. Mi dicevo: ”eppure potrei ….” Beh, in punta di piedi, a testa bassa e lavorando instancabilmente è arrivato tutto, compresa la collaborazione con il Centro d’arte Raffaello. Alla fine mi  sono fatto la stessa domanda anch’io; sai qual è la mia risposta? “Eppure potrei….”. Grazie per le tue domande, davvero molto gradite.

Marga: Grazie a te soprattutto per questa ultima risposta che apre nuovi scenari creativi e mi/ci incuriosisce oltremodo!